21 aprile 2020

Pensare positivo non basta

Pensare positivo non ci porta a essere realizzativi. È la teoria di Gabriele Oettingen, docente di psicologia alla New York University e all’Università di Amburgo.
Aveva dunque torto Jovanotti. Ma non solo lui. Del culto dell’ottimismo ne hanno fatto un modus vivendi un po’ tutti. Da sempre. Marco Aurelio si soffermava sulla bellezza della vita, Samuel Johnson diceva che il lato positivo di ogni evento vale più di mille sterline l’anno, il presidente Dwight Eisenhower dichiarò che ‘il pessimismo non ha mai vinto una battaglia’, Charlie Chaplin affermò: ‘Non troverai mai un arcobaleno se stai guardando per terra’. Per non parlare di politici di ogni livello che blandiscono la popolazione vendendo ‘sogni americani’ e cercando di presentarsi come glialfieri della speranza. Ma anche di economisti che registrano la ‘fiducia dei consumatori’ e apprezzano le previsioni dei leader di mercato in base a quanto sono ottimistiche. Pure la pubblicità propone persone felici e ottimistecome modelli di successo. C’è una massima che circola in rete che recita: “Sognalo. Desideralo. Fallo”.

Invece secondo le ricerche scientifiche svolte dalla Oettingen così facendo non si arriva da nessuna parte. Lo sostiene nel libro Io non penso positivo edito da Tlon.
Abbandonarsi alle fantasie che riguardano il futuro non ci fa agire in maniera costruttiva”, spiega. “Nonostante nel breve termine possa risultare piacevole, in realtà non fa altro che svuotare il nostro impegno e condurci a esitare continuamente”. Gli esperimenti effettuati in 20 anni di studio hanno dimostrato che le fantasie positive ci impediscono di gestire compiti difficili, ma spronano a compiere quelli facili. Non ci aiutano, quindi, a dimagrire, a smettere di fumare, a trovare lavoro, ma ci servono per rimanere vivi nel deserto, per resistere alla repressione politica, per mantenere la fiducia mentre aspettiamo la sentenza del nostro fidanzato.
Alle fantasticherie non bisogna chiedere più di quello che possono darci. Se ne comprendiamo e riconosciamo i limiti, saranno nostre alleate e non ci freneranno nella vita. Ma per realizzare i nostri sogni, dobbiamo innanzitutto mettere a fuoco le barriere e gli ostacoli che ci impediscono di portarli a termine.
Nello specifico la ricerca della Oettingen propone una procedura di quattro passaggi basata sul contrasto mentale, chiamata WOOP, acronimo di Wish, Outcome, Obstacle, Plan, ovvero desiderio, risultato, ostacolo, piano.
In pratica, da un desiderio, identificato il risultato migliore, con un piano, e con le connessioni cognitive tra futuro, ostacolo e comportamento utile, ci troviamo nella posizione di gestire le difficoltà e affrontare con maggiore sicurezza la situazione. Cosa che vale per qualsiasi circostanza della vita.
“Mettiamo il caso che tu stia per salire su un palco per parlare davanti a duecento persone”, chiarisce la ricercatrice. “Hai tre minuti per fare il tuo esercizio di WOOP. Qual è il tuo desiderio? Fare un buon lavoro. Che risultato vorresti ottenere? Entrare in sintonia con il pubblico e riuscire a trasmettere il tuo messaggio. Immaginalo. Cosa c’è dentro di te che fa da ostacolo? Forse si tratta di un’ansia generale, ‘mi imbarazzerò’, o di un problema tecnico più specifico ‘parlo troppo velocemente’. Fatto questo, le strategie si materializzano con facilità: ‘Se ho l’ansia, ricorderò a me stesso di aver già fatto cose del genere con successo’, ‘se mi dovessi accorgere di parlare troppo velocemente, rallenterò”.
Ebbene, secondo Gabriele Oettingen, i nostri sogni possono essere realizzabili, ma non sono altro che sfide che richiedono impegno e azione. “La soluzione, confermata dagli esperimenti condotti, non è fare a meno dei sogni e del pensiero positivo”, afferma. “Anzi, si tratta di realizzare le nostre fantasie mettendole in contatto con la cosa che ci hanno insegnato a ignorare o a minimizzare: gli ostacoli che si trovano sul nostro percorso”.

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