28 giugno 2018

Status symbol

Specificare i benefici del lavoro può sembrare superfluo. Tutti hanno bisogno di lavorare per vari motivi, in primis per colpa di quella particolare abitudine di mangiare che prendiamo già da piccoli. Ed è qui che comincia una reazione a catena. Per mangiare servono le pentole, il tavolo e i piatti, molto utili per fotografare il cibo. Ma per fotografare serve  un cellulare. Utile anche per i selfie in vacanza dove andare con un'auto compresa di accessori come il meccanico, l'assicurazione e la roulotte per le vacanze.
Certo, le vacanze sono un diritto per chi lavora tra una disoccupazione e l'altra. Bisogna rilassarsi, abbronzarsi e scattare dei selfie. Per poi pubblicarle nello stesso social network accanto al cibo. Che più che social, a me sembra una via di mezzo tra un'enciclopedia di gatti e un ricettario di cucina. Un pò Tripadvisor, un po' Fake Times e un pò Paperissima.

Ma tutto questo perché? Non eravamo partiti da un semplice piatto di pasta? Che poi, tra tutte le cose sopracitate, dovrebbe essere l'unico ad avere un valore vitale? Purtroppo le cose alle quali si dà più valore non sono altro che dei semplici accessori che fungono da biglietto da visita, da carta d'identità o addirittura vengono promossi in consulenti d'immagine.
Spesso nella scelta di questi oggetti non si pone la domanda: "cosa mi serve" ma la domanda "che figura ci faccio". E si finisce per diventare schiavi di ciò che doveva essere utile, si diventa dipendenti del proprio servo, ci si abbassa fino a regalare la propria anima ad un oggetto inanimato e la propria personalità ad un attrezzo. Ci si identifica con un prodotto o con un animale da compagnia (non sto parlando del partner).
Ci si sente grandi solo all'idea di possederli. Ma il fatto di mostrarli fa sentire superiori. Consegnare il proprio valore nelle mani dello status symbol riduce la propria personalità al di sotto del valore dell'oggetto stesso.
Il confine tra necessità e dipendenza si varca senza visto e la creazione sottomette il suo creatore. 


Ora chi gestisce i social sa tutto di te. Sa cosa mangi, come lo hai cucinato e se bisognava mettere più sale. Conoscono le piastrelle del tuo bagno, la marca dei tuoi idrosanitari, che auto hai e a che cavolo ti serve.
E pensare che a fornire tutte queste informazioni eri tu con quella irrefrenabile voglia di apparire. Perché tu vali. Ma ti dimentichi che il proprio valore non viene costruito in una linea di montaggio. Veramente il tuo valore ha emigrato verso ciò che non sei tu? Veramente credi che ciò che circonda l'individuo, dal cibo al gatto, dal lavoro agli uffici del comune, dal orologio da polso fino al Big Ben lo renda migliore? Ci si vanta della posizione sociale, dell'auto, della lavatrice intelligente e del cane con il capotto. Ma tutto questo, per quanto sia bello e costoso, non sarà mai l'essenza della persona.
"Pretendi il meglio perché ti meriti il meglio" suona di ridicolo. Meriti invece ciò che ti serve quindi pretendi il necessario. Se il necessario dovesse essere per forza il meglio sappi che ti sarà utile ma non ti renderà migliore. Tu vali più dell'oggetto e non viceversa. Il vero valore della persona non si fabbrica e di sicuro non abbaia.

E' impressionante quanta gente crede che per essere grandi bisogna possedere dei beni materiali. Ma se il valore della persona dipendesse da questi beni che possiede, allora quanto varrebbe senza?
Siamo degli esseri evoluti che valutano gli oggetti più delle persone. Produttori schiavi del prodotto, con dei sentimenti soffocati dagli emoji. Avere una casa non rende nessuno migliore di un senzatetto. Un'auto di lamiera non rende nessuno più sentimentale. Le lenti della fotocamera non guardano l'anima.
Questa società assomiglia ad un cane, con lo status symbol come collare, legato al guinzaglio dell'egoismo.
E ci si vanta di avere il guinzaglio lungo e il collare d'oro.

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