19 marzo 2020

Con Seneca nella città provvisoria

Proprio nei giorni più rabbiosi e desiderosi di vendetta, avrei avuto bisogno di lui, del mio mentore. Non sono mai riuscito a trovarlo, nonostante le mie attese ossessive, seduto su un gradino di sabbia della città provvisoria.

Niente. Non passavi mai. 

Mi hai fatto ingoiare fiele.

Hai trasposto, per giorni e giorni, il mio essere in un ambito prettamente umano, in cui tutti sono sempre irritabili e ostili; in un contesto esistenziale, dove sai che non mi sono mai, mai trovato a mio agio, fino ad allontanarmi completamente dal linguaggio degli altri, dal modo di fare, dalla loro essenza vuota. 

Seduto su questo scalino ti ho aspettato invano. 

Senza speranza, sono venuto via, convinto che la tua lezione era quella di lasciarmi solo, con la rabbia che mi esplodeva dentro. Volevi farmi capire che mi avevi insegnato già tutto per capire la sua origine, il suo potere di trasformare tutti noi in mostri. Mi avevi insegnato abbastanza per venirne a capo da solo. 

Sulla strada del ritorno, non ho trovato il ritorno.

Il varco che di solito mi si apriva da solo, nel momento stesso che volevo uscire dalla città provvisoria, non si apriva affatto.

Mi sono seduto di nuovo sulla sabbia, stanchissimo, e vedevo, sul crine delle colline di fronte, le tipiche case di sabbia di questo luogo ameno. Case di sabbia belle, lisce, vuote, apparentemente senza vita.

Distratto da questa linea geometrica, destinata a cambiare ogni giorno in funzione di come la guardiamo, mi sono assopito e sdraiato. Il vento caldo passava sopra la mia pelle abbronzata e piena di baci, di quando avevo venti anni.

Mi sono addormentato senza un’immagine finale.

Nel sonno è emerso tutto.

Hai insistito, perché scrivessi come si può placare l’ira, e mi pare che tu abbia buone ragioni di temere soprattutto questa passione che, più d’ogni altra, è spaventosa e furibonda. Le altre, a dir vero, hanno una componente di tranquillità e calma, questa è tutta eccitazione ed impulso a reagire, è furibonda e disumana brama di armi, sangue e supplizi, dimentica se stessa pur di nuocere all’altro, è pronta a precipitarsi immediatamente sulle armi ed è avida di una vendetta destinata a coinvolgere il vendicatore. 

Per convincerti che i posseduti dall’ira sono dei dissennati, osserva bene il loro atteggiamento: come sono sicuri sintomi di pazzia l’espressione risoluta e minacciosa, la fronte aggrottata, la faccia scura, il passo concitato, le mani irrequiete, il colorito alterato, il respiro frequente ed affannoso, tali e quali sono i sintomi dell’ira incipiente: gli occhi ardono e lampeggiano, il viso si copre di rossore per il rifluire di sangue dal fondo dei precordi, le labbra tremano, i denti si serrano, i capelli si drizzano ispidi, il respiro diventa forzato e rumoroso, le articolazioni schioccano tormentandosi, i gemiti e i muggiti si intercalano in un parlare che inciampa in voci mozze, le mani battono continuamente e i piedi percuotono la terra, il corpo è tutto eccitato e “scagliante grandi minacce d’ira”, i lineamenti sono brutti e spaventosi, quando un uomo si sfigura per corruccio.

Impossibile sapere se è un vizio più detestabile o schifoso. Tutti gli altri si possono nascondere o nutrire in segreto: l’ira si manifesta ed affiora sul volto e, quanto più è grande, tanto più apertamente ribolle. Non vedi come tutti gli animali, quando insorgono per nuocere, ne mostrano in anticipo i sintomi e tutto il loro corpo abbandona l’abituale comportamento di calma ed esaspera la connaturata ferocia? 

I cinghiali mandano spuma dalla bocca ed arrotano le zanne per aguzzarle, i tori danno di corno nel vuoto e spargono l’arena battendola con l’unghia, i leoni fremono, i serpenti, quando s’adirano, gonfiano il collo, le cagne rabide hanno aspetto minaccioso: non c’è animale tanto orribile o dannoso per natura, nel quale non appaia, al sopravvenire dell’ira, un nuovo aumento di ferocia. 

Certo, non ignoro che è difficile anche nascondere le altre passioni, che la libidine, il timore, l’audacia mostrano i loro sintomi e si possono conoscere in anticipo: non c’è, di fatto, nessun sconvolgimento interiore d’una certa violenza, che non alteri qualcosa sul nostro viso. Che differenza c’è, allora? Le altre passioni si notano, questa risalta.

Osserva le fondamenta di città notissime, ormai quasi invisibili, come questa  città di sabbia su cui sei sdraiato e dormi: le ha abbattute l’ira; osserva tanti deserti, disabitati per miglia e miglia: li ha spopolati l’ira; osserva tanti condottieri, passati alla storia come esempi di un destino fatale: l’ira ne ha trafitto uno sul suo letto, ne ha ucciso un altro a mensa, tra le sacre leggi dell’ospitalità, un altro lo ha fatto a pezzi durante il processo, sotto gli occhi della folla che riempiva il foro, un altro lo ha costretto a versare il suo sangue ad opera di un figlio parricida, un altro ad offrire la sua gola regale alla mano di uno schiavo, un altro a divaricare le sue membra su di un patibolo. 

E sto ancora narrando supplizi di singoli: che sarà, se vorrai tralasciare i casi in cui l’ira è divampata su individui e guardare intere assemblee passate a fil di spada, plebi trucidate da incursioni di soldatesche, interi popoli mandati a morte senza distinzione alcuna… 

L’ira che tu provi non ha senso pensare se è giustificata o no. Ai miei occhi e ai tuoi di quando ne parlavamo, così azzurri e assetati di concetti, l’ira di qualsiasi origine, è paragonabile a quella dei bambini che, se cadono, vogliono che si batta la terra e spesso non sanno nemmeno con chi si adirano: si adirano e basta, senza un motivo, senza essere stati ingiuriati, ma non senza una parvenza di ingiuria ed un desiderio di castigo. Perciò vengono ingannati con le finte percosse e placati con le false lacrime di scusa: una vendetta inconsistente pone fine ad un rancore inconsistente.


di Stefano Michelini

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