25 marzo 2020

Gli (auto)inganni della bellezza

Siamo noi a vedere la BELLEZZA nelle cose – ad inventarla? Oppure invece esiste davvero, là fuori, indipendentemente dalla presenza di qualcuno ad osservarla e riconoscerla come tale? La fisica moderna sembra pensarla così: abbiamo spinto la conoscenza della natura fino al limite in cui gli esperimenti non riescono a tenere il passo delle speculazioni teoriche – non disponiamo ancora di tecnologie tanto avanzate da testare le relative ipotesi riguardo all’esistenza di dimensioni extra, universi paralleli, particelle supersimmetriche – , ma le teorie stesse hanno trovato nella bellezza una guida inaspettata – così irragionevolmente potente e provvidenziale da far sorgere il sospetto che essa rappresenti qualcosa di oggettivo riguardo alla realtà. Cosa intendono i fisici per bellezza di un modello matematico? SEMPLICITÀ, prima di tutto – intesa come relativa parsimonia di assunzioni alla base dello stesso, la quale a sua volta implica rigidità nei confronti di modifiche puntuali, garanzia, questa, di coerenza e falsificabilità. NATURALEZZA, poi – ovvero l’idea che tali assunzioni, a prescindere dal loro numero, non implichino rapporti adimensionali estremamente grandi o piccoli fra le costanti fisiche o i parametri liberi coinvolti, i quali richiedano spiegazioni elaborate (nel gergo tecnico: fine tuning) e non possano essere considerati semplicemente frutto di una selezione casuale. ELEGANZA, infine – qualificazione di difficile inquadramento per i non addetti ai lavori, riassumibile nella capacità delle equazioni di racchiudere in sé una fitta rete di relazioni non banali e spesso inaspettate, la cui portata vada ben oltre l’apparenza e le motivazioni iniziali. C’è una parola che riassume tutte queste caratteristiche: SIMMETRIA. La simmetria – che si applichi ad oggetti fisici o ad equazioni matematiche – è uno strumento naturale di generazione spontanea di complessità, struttura ed irriducibilità computazionale in regime di scarsità di informazioni e risorse disponibili, riuscendo a produrre abbondanza di effetti a partire da poche regole semplici; in quanto tale, però, incarna proprio la tendenza contraria – alla semplificazione, cioè, comprimendo e nascondendo questa stessa complessità che genera, criptandola in enti che, visti come black boxes, si caratterizzano di interazioni più semplici, codificabili in leggi matematiche che consentano capacità predittive, esplicative e decisionali. Simmetrie opportune sono inoltre in grado di rendere una teoria più naturale, provvedendo meccanismi di compensazione e regolazione spontanea. Infine, in arte come in fisica la simmetria è emblema di eleganza, proporzione, misura.
Perché, dunque, identifichiamo la bellezza col concetto di simmetria? Perché la simmetria è INVARIANZA e conservazione, laddove potrebbe esserci imprevedibilità ed ‘orrido caso’. ‘Cambiamento senza cambiamento’: questa l’espressione molto bella usata dal Nobel Frank Wilczek. In qualsiasi forma si manifesti, questa proprietà di invarianza nei confronti di operazioni che potrebbero invece modificare le cose conferisce un senso di divina indifferenza – come avrebbe forse detto Montale – , elevando ciò che possa fregiarsi di tale qualità al di sopra delle contingenze e dei giochi del caso, in una sorta di DOMINIO ATEMPORALE. Se crediamo dunque che le simmetrie siano elementi fondanti della nostra realtà, possiamo anche credere che MUTAMENTO E TEMPO – COME ISTANZE ONTOLOGICHE – SIANO SOLTANTO ILLUSIONI, per quanto pervicaci. Einstein stesso sembrava aver sposato una simile visione verso la fine della propria vita, forse per il suo valore consolatorio. Noi fisici tendiamo ad isolare la fisica stessa dalle altre scienze, ma se per un attimo la reimmettessimo nel pool ci renderemmo conto che la bellezza che le associamo deriva – ancor prima che dalle specificità delle singole teorie – dal suo stesso carattere matematico: le strutture matematiche, nella loro perfezione e atemporalità, rappresentano infatti un riparo psicologico ideale contro l’inconoscibile che si cela nel nostro futuro – la morte imminente, nel caso di Einstein. E cosa c’è di più perfetto di una simmetria, a questo scopo? Eccola, LA VERA NATURA DEI NOSTRI CRITERI ESTETICI: PAURA DELL’IGNOTO, BISOGNO DI PREVEDIBILITÀ.
Alcuni – molti, in verità – sosterrebbero che il messaggio della fisica moderna andrebbe preso al suo face value: la realtà è matematica, le simmetrie sono reali, il resto sono illusioni. D’altronde, è dai tempi di Pitagora che l’uomo nutre reverenza per l’astrazione matematica: il suo famoso teorema sui triangoli rettangoli stabilì un legame – ai tempi sorprendente – fra numeri (i prodotti più puri del pensiero matematico), appunto, e misure di forme geometriche (le caratteristiche principali della realtà fisica, il cui accesso primario è attraverso l’estensione spaziale). Oggi, nell’era dell’information technology e del PARADIGMA COMPUTAZIONALE, questo legame sembra ancora più forte: ogni cosa – immagini, canzoni, conversazioni, film, libri, codici genetici – è rappresentabile con catene di 0 e 1, duplicabile e ripristinabile fedelmente. Quale prova migliore del credo pitagorico per cui tutta la realtà è composta solo ed esclusivamente da numeri? C’è però qualcosa che sfugge a questo schema: LE ESPERIENZE INDIVIDUALI – quelle sono perse per sempre. Il passato non è riproducibile, rivivibile: la coscienza è legata a doppio filo allo scorrere del tempo, ed esiste solo rispetto ad un presente in continuo e costante mutamento. Eppure, il tempo e la nostra percezione di esso potrebbero essere soltanto illusioni, fenomeni che hanno un senso solo come qualificazioni delle interazioni e relazioni fra parti dell’universo, ma che lo perdono per l’universo nel suo insieme. Chi ci assicura, tuttavia, che si possa compiutamente parlare di una realtà indipendentemente da questa rete di relazioni? E se così non fosse, avrebbe ancora senso giudicare quella realtà come ‘vera’, e le relazioni che a tutti gli effetti la creano come ‘illusorie’. Questa domanda è anche alla base delle visioni relazionali della meccanica quantistica. In questo ambito, la DEFINITEZZA CONTRAFFATTUALE è l’espressione del pregiudizio circa la possibilità di creare una mappa matematica perfetta della realtà, minato alle fondamenta dalla contestualità quantistica, che instilla il dubbio sotto forma di DUALITÀ E COMPLEMENTARITÀ. Cos’è una simmetria matematica, in fondo? L’idea per cui possiamo guardare uno stesso panorama da infinite diverse prospettive, trovandovi comunque sempre tratti invarianti e su cui tutti concorderemo – dato che esprimono la realtà degli elementi oggettivi di quel panorama, indipendenti dal nostro modo di osservare. Se però non esiste osservazione senza disturbo, nessuna prospettiva potrà mai esaurire tutta l’esperienza della realtà, poiché quest’ultima non può altro che nascere dall’interplay fra tutti i possibili punti di vista, come risultato di un processo di GENERAZIONE DI CONSENSO MASSIMAMENTE DISTRIBUITO.
Una simmetria è una mappa di un bosco, che ne indichi chiaramente le strade percorribili, ma se non esiste più alcuna mappa né alcuna strada – se davvero la definitezza contraffattuale è un’illusione – non ci resta che addentrarci ed ESPLORARE, il che richiede tempo – TEMPO VERO, REALE, IRRIDUCIBILE. Non illudiamoci: serve coraggio per questo. Noi uomini siamo fatti così: costruiamo strade in mezzo ai boschi e ci sfrecciamo sopra, godendoci spensierati il panorama dal finestrino; poi di colpo un cervo salta fuori dalla vegetazione, ci finisce sotto le ruote e fine dei giochi. Ma – come nella nota pubblicità – NON È IL CERVO CHE CI TAGLIA LA STRADA, È LA STRADA CHE TAGLIA IL BOSCO. Siamo noi a voler creare certezze e garanzie di sicurezza in un mondo che non ne ha – salvo poi chiuderci nell’impotenza quando quello stesso mondo rivendichi la sua natura libera e selvaggia, reclamando il proprio diritto a non corrispondere alle nostre ridicole aspettative. Avremmo dovuto essere degli esploratori, ma ci hanno insegnato a vivere come turisti – turisti nella nostra stessa vita, l’unica vita che avremo mai a disposizione. Ed eccoci qui, a testa bassa, rimuginando su tutto ciò che è andato storto – tutti i cervi che nostro malgrado abbiamo investito, tutte le cose belle che abbiamo distrutto per noncuranza, difetto di coraggio o semplice distrazione – , incapaci di vedere il dramma ben più grande che si consuma alle nostre spalle – tutta la ricchezza, nascosta nel bosco, che ci stiamo perdendo rimanendo sulla strada, e di cui siamo semplicemente inconsapevoli.
La bellezza che attribuiamo alla perfezione matematica ed alle sue simmetrie atemporali è quella del NIRVANA buddhista – un’ideale descrivibile solo per negazioni, in termini di assenza (di dolore e affanni, ma anche di gioia e passioni), lontananza (da tutto ciò che possiamo ritenere come ‘terreno’), distacco (da se stessi) ed isolamento (da tutti gli altri). Non è un caso, infatti, che il nirvana rappresenti la fine del ‘ciclo delle rinascite’, ovvero la fine del tempo, del suo scorrere e trascinarci. Ma questa perfezione è davvero realizzabile? E soprattutto: è davvero la più alta forma di FELICITÀ cui l’uomo possa aspirare? La contestualità quantistica comporta la realtà del tempo e l’immagine di una realtà in cui nessun elemento possa veramente isolarsi da tutti gli altri – una realtà che risulterà sempre imperfetta, secondo gli standard stringenti che una visione platonica o pitagorica richiederebbe. Eppure, questa è la realtà – e non c’è bisogno di scendere fino al livello quantistico. Questo PATTERN DI INTERDIPENDENZA si ripete ad ogni livello – in ottica emergentista – : LA REALTÀ IMPARA, continuamente e progressivamente, e lo fa attraverso la creazione di enti e simmetrie che celino la complessità sottostante; ma la complessità cresce a sua volta, continuamente e progressivamente, – cresce nel tempo e come manifestazione primaria di esso – così che lo stesso problema si ripropone al livello successivo, imponendo alla natura una forma di APPRENDIMENTO DINAMICO E GERARCHICO. Ad ogni livello, dunque, la natura autentica della realtà – in termini di relazioni ed interdipendenze – riemerge e si riafferma: essa è il SAMSARA, l’oceano dell’esistenza, e l’unico modo per gocce d’acqua quali noi siamo di non inaridirci è tuffarci in esso, perdendo la nostra identità individuale – la vera illusione – e comprendendo come RELAZIONI ED INTERDIPENDENZE siano non solo ineliminabili, ma la trama stessa del mondo. Esse forse lo rendono meno bello e perfetto – ne rompono la natura simmetrica – , ma così facendo ci costringono ad affrontarne il peso e, soprattutto, la RESPONSABILITÀ: quella di essere costantemente una parte attiva nella sua costruzione – di momento in momento e in vista di un futuro ancora tutto da scrivere – , e di non poter in questo prescindere dall’interazione con ogni sua altra parte – che siano gli altri individui o l’ambiente che ci circonda.

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