Siamo noi a vedere la
BELLEZZA nelle cose – ad inventarla? Oppure invece esiste davvero, là
fuori, indipendentemente dalla presenza di qualcuno ad osservarla e
riconoscerla come tale? La fisica moderna sembra pensarla così: abbiamo
spinto la conoscenza della natura fino al limite in cui gli esperimenti
non riescono a tenere il passo delle speculazioni teoriche – non
disponiamo ancora di tecnologie tanto avanzate da testare le relative
ipotesi riguardo all’esistenza di dimensioni extra, universi paralleli,
particelle supersimmetriche – , ma le teorie stesse hanno trovato nella
bellezza una guida inaspettata – così irragionevolmente potente e
provvidenziale da far sorgere il sospetto che essa rappresenti qualcosa
di oggettivo riguardo alla realtà. Cosa intendono i fisici per
bellezza di un modello matematico? SEMPLICITÀ, prima di tutto – intesa
come relativa parsimonia di assunzioni alla base dello stesso, la quale a
sua volta implica rigidità nei confronti di modifiche puntuali,
garanzia, questa, di coerenza e falsificabilità. NATURALEZZA, poi –
ovvero l’idea che tali assunzioni, a prescindere dal loro numero, non
implichino rapporti adimensionali estremamente grandi o piccoli fra le
costanti fisiche o i parametri liberi coinvolti, i quali richiedano
spiegazioni elaborate (nel gergo tecnico: fine tuning) e non possano
essere considerati semplicemente frutto di una selezione casuale.
ELEGANZA, infine – qualificazione di difficile inquadramento per i non
addetti ai lavori, riassumibile nella capacità delle equazioni di
racchiudere in sé una fitta rete di relazioni non banali e spesso
inaspettate, la cui portata vada ben oltre l’apparenza e le motivazioni
iniziali. C’è una parola che riassume tutte queste caratteristiche:
SIMMETRIA. La simmetria – che si applichi ad oggetti fisici o ad
equazioni matematiche – è uno strumento naturale di generazione
spontanea di complessità, struttura ed irriducibilità computazionale in
regime di scarsità di informazioni e risorse disponibili, riuscendo a
produrre abbondanza di effetti a partire da poche regole semplici; in
quanto tale, però, incarna proprio la tendenza contraria – alla
semplificazione, cioè, comprimendo e nascondendo questa stessa
complessità che genera, criptandola in enti che, visti come black boxes,
si caratterizzano di interazioni più semplici, codificabili in leggi
matematiche che consentano capacità predittive, esplicative e
decisionali. Simmetrie opportune sono inoltre in grado di rendere una
teoria più naturale, provvedendo meccanismi di compensazione e
regolazione spontanea. Infine, in arte come in fisica la simmetria è
emblema di eleganza, proporzione, misura.
Perché, dunque,
identifichiamo la bellezza col concetto di simmetria? Perché la
simmetria è INVARIANZA e conservazione, laddove potrebbe esserci
imprevedibilità ed ‘orrido caso’. ‘Cambiamento senza cambiamento’:
questa l’espressione molto bella usata dal Nobel Frank Wilczek. In
qualsiasi forma si manifesti, questa proprietà di invarianza nei
confronti di operazioni che potrebbero invece modificare le cose
conferisce un senso di divina indifferenza – come avrebbe forse detto
Montale – , elevando ciò che possa fregiarsi di tale qualità al di sopra
delle contingenze e dei giochi del caso, in una sorta di DOMINIO
ATEMPORALE. Se crediamo dunque che le simmetrie siano elementi fondanti
della nostra realtà, possiamo anche credere che MUTAMENTO E TEMPO – COME
ISTANZE ONTOLOGICHE – SIANO SOLTANTO ILLUSIONI, per quanto pervicaci.
Einstein stesso sembrava aver sposato una simile visione verso la fine
della propria vita, forse per il suo valore consolatorio. Noi fisici
tendiamo ad isolare la fisica stessa dalle altre scienze, ma se per un
attimo la reimmettessimo nel pool ci renderemmo conto che la bellezza
che le associamo deriva – ancor prima che dalle specificità delle
singole teorie – dal suo stesso carattere matematico: le strutture
matematiche, nella loro perfezione e atemporalità, rappresentano infatti
un riparo psicologico ideale contro l’inconoscibile che si cela nel
nostro futuro – la morte imminente, nel caso di Einstein. E cosa c’è di
più perfetto di una simmetria, a questo scopo? Eccola, LA VERA NATURA
DEI NOSTRI CRITERI ESTETICI: PAURA DELL’IGNOTO, BISOGNO DI
PREVEDIBILITÀ.
Alcuni – molti, in verità – sosterrebbero che il
messaggio della fisica moderna andrebbe preso al suo face value: la
realtà è matematica, le simmetrie sono reali, il resto sono illusioni.
D’altronde, è dai tempi di Pitagora che l’uomo nutre reverenza per
l’astrazione matematica: il suo famoso teorema sui triangoli rettangoli
stabilì un legame – ai tempi sorprendente – fra numeri (i prodotti più
puri del pensiero matematico), appunto, e misure di forme geometriche
(le caratteristiche principali della realtà fisica, il cui accesso
primario è attraverso l’estensione spaziale). Oggi, nell’era
dell’information technology e del PARADIGMA COMPUTAZIONALE, questo
legame sembra ancora più forte: ogni cosa – immagini, canzoni,
conversazioni, film, libri, codici genetici – è rappresentabile con
catene di 0 e 1, duplicabile e ripristinabile fedelmente. Quale prova
migliore del credo pitagorico per cui tutta la realtà è composta solo ed
esclusivamente da numeri? C’è però qualcosa che sfugge a questo schema:
LE ESPERIENZE INDIVIDUALI – quelle sono perse per sempre. Il passato
non è riproducibile, rivivibile: la coscienza è legata a doppio filo
allo scorrere del tempo, ed esiste solo rispetto ad un presente in
continuo e costante mutamento. Eppure, il tempo e la nostra percezione
di esso potrebbero essere soltanto illusioni, fenomeni che hanno un
senso solo come qualificazioni delle interazioni e relazioni fra parti
dell’universo, ma che lo perdono per l’universo nel suo insieme. Chi ci
assicura, tuttavia, che si possa compiutamente parlare di una realtà
indipendentemente da questa rete di relazioni? E se così non fosse,
avrebbe ancora senso giudicare quella realtà come ‘vera’, e le relazioni
che a tutti gli effetti la creano come ‘illusorie’. Questa domanda è
anche alla base delle visioni relazionali della meccanica quantistica.
In questo ambito, la DEFINITEZZA CONTRAFFATTUALE è l’espressione del
pregiudizio circa la possibilità di creare una mappa matematica perfetta
della realtà, minato alle fondamenta dalla contestualità quantistica,
che instilla il dubbio sotto forma di DUALITÀ E COMPLEMENTARITÀ. Cos’è
una simmetria matematica, in fondo? L’idea per cui possiamo guardare uno
stesso panorama da infinite diverse prospettive, trovandovi comunque
sempre tratti invarianti e su cui tutti concorderemo – dato che
esprimono la realtà degli elementi oggettivi di quel panorama,
indipendenti dal nostro modo di osservare. Se però non esiste
osservazione senza disturbo, nessuna prospettiva potrà mai esaurire
tutta l’esperienza della realtà, poiché quest’ultima non può altro che
nascere dall’interplay fra tutti i possibili punti di vista, come
risultato di un processo di GENERAZIONE DI CONSENSO MASSIMAMENTE
DISTRIBUITO.
Una simmetria è una mappa di un bosco, che ne
indichi chiaramente le strade percorribili, ma se non esiste più alcuna
mappa né alcuna strada – se davvero la definitezza contraffattuale è
un’illusione – non ci resta che addentrarci ed ESPLORARE, il che
richiede tempo – TEMPO VERO, REALE, IRRIDUCIBILE. Non illudiamoci: serve
coraggio per questo. Noi uomini siamo fatti così: costruiamo strade in
mezzo ai boschi e ci sfrecciamo sopra, godendoci spensierati il panorama
dal finestrino; poi di colpo un cervo salta fuori dalla vegetazione, ci
finisce sotto le ruote e fine dei giochi. Ma – come nella nota
pubblicità – NON È IL CERVO CHE CI TAGLIA LA STRADA, È LA STRADA CHE
TAGLIA IL BOSCO. Siamo noi a voler creare certezze e garanzie di
sicurezza in un mondo che non ne ha – salvo poi chiuderci nell’impotenza
quando quello stesso mondo rivendichi la sua natura libera e selvaggia,
reclamando il proprio diritto a non corrispondere alle nostre ridicole
aspettative. Avremmo dovuto essere degli esploratori, ma ci hanno
insegnato a vivere come turisti – turisti nella nostra stessa vita,
l’unica vita che avremo mai a disposizione. Ed eccoci qui, a testa
bassa, rimuginando su tutto ciò che è andato storto – tutti i cervi che
nostro malgrado abbiamo investito, tutte le cose belle che abbiamo
distrutto per noncuranza, difetto di coraggio o semplice distrazione – ,
incapaci di vedere il dramma ben più grande che si consuma alle nostre
spalle – tutta la ricchezza, nascosta nel bosco, che ci stiamo perdendo
rimanendo sulla strada, e di cui siamo semplicemente inconsapevoli.
La bellezza che attribuiamo alla perfezione matematica ed alle sue
simmetrie atemporali è quella del NIRVANA buddhista – un’ideale
descrivibile solo per negazioni, in termini di assenza (di dolore e
affanni, ma anche di gioia e passioni), lontananza (da tutto ciò che
possiamo ritenere come ‘terreno’), distacco (da se stessi) ed isolamento
(da tutti gli altri). Non è un caso, infatti, che il nirvana
rappresenti la fine del ‘ciclo delle rinascite’, ovvero la fine del
tempo, del suo scorrere e trascinarci. Ma questa perfezione è davvero
realizzabile? E soprattutto: è davvero la più alta forma di FELICITÀ cui
l’uomo possa aspirare? La contestualità quantistica comporta la realtà
del tempo e l’immagine di una realtà in cui nessun elemento possa
veramente isolarsi da tutti gli altri – una realtà che risulterà sempre
imperfetta, secondo gli standard stringenti che una visione platonica o
pitagorica richiederebbe. Eppure, questa è la realtà – e non c’è bisogno
di scendere fino al livello quantistico. Questo PATTERN DI
INTERDIPENDENZA si ripete ad ogni livello – in ottica emergentista – :
LA REALTÀ IMPARA, continuamente e progressivamente, e lo fa attraverso
la creazione di enti e simmetrie che celino la complessità sottostante;
ma la complessità cresce a sua volta, continuamente e progressivamente, –
cresce nel tempo e come manifestazione primaria di esso – così che lo
stesso problema si ripropone al livello successivo, imponendo alla
natura una forma di APPRENDIMENTO DINAMICO E GERARCHICO. Ad ogni
livello, dunque, la natura autentica della realtà – in termini di
relazioni ed interdipendenze – riemerge e si riafferma: essa è il
SAMSARA, l’oceano dell’esistenza, e l’unico modo per gocce d’acqua quali
noi siamo di non inaridirci è tuffarci in esso, perdendo la nostra
identità individuale – la vera illusione – e comprendendo come RELAZIONI
ED INTERDIPENDENZE siano non solo ineliminabili, ma la trama stessa del
mondo. Esse forse lo rendono meno bello e perfetto – ne rompono la
natura simmetrica – , ma così facendo ci costringono ad affrontarne il
peso e, soprattutto, la RESPONSABILITÀ: quella di essere costantemente
una parte attiva nella sua costruzione – di momento in momento e in
vista di un futuro ancora tutto da scrivere – , e di non poter in questo
prescindere dall’interazione con ogni sua altra parte – che siano gli
altri individui o l’ambiente che ci circonda.