Alla prima maratona organizzata in Francia nel 1975 erano iscritti
130 partecipanti. Nel 2015 alla partenza della maratona di Parigi erano
più di 40 000. Durante una sola generazione, la corsa podistica è
diventata un fenomeno di massa.
Dal jogger domenicale ai praticanti dei grandi percorsi estremi (i
160 km del giro del Monte bianco), cosa rincorrono tutti costoro?
Perché tanta passione per il podismo? Varie spiegazioni cercano di
chiarire il fenomeno.
RITROVARE LE PROPRIE RADICI (psicologia evoluzionista)
Gli esseri umani sono “nati per correre”: è quanto sostengono alcuni autori, come Christopher McDougall (Born to run, 2009) e Bernd Heinrich (Why we run. A na- tural history,
2007). La tesi si basa sull’argomento che i cacciatori paleolitici
dovevano correre per catturare la preda. La caccia per sfinimento
praticata da molte tribù consiste nello stancare certe prede che, come
le antilopi, sono molto veloci ma non resistono allo sforzo prolungato.
Correre sarebbe quindi un istinto naturale (i bambini amano correre)
inibito dalla vita sedentaria, che oggi riprende i suoi diritti. Correre
sarebbe un modo per ritrovare le nostre radici arcaiche di cacciatori:
una “moda paleolitica”, secondo la psicologia evoluzionista.
FARSI DEL BENE (psicologia della salute)
Molti cominciano a correre per perdere peso o per combattere lo
stress. La ricerca del benessere sarebbe quindi la motivazione
principale per indossare le scarpette e mettersi a correre. La ricerca
medica in effetti conferma che lo sport ha effetti benefici, sia fisici
che psicologici. L’attività fisica protegge dall’obesità e da numerose
malattie, migliora il sonno e procura uno stato generale di forma. Dal
punto di vista mentale correre, ma anche semplicemente camminare, è un
efficace antistress e riduce l’ansia. Infine, studi recenti mostrano
anche che la corsa migliora le prestazioni cognitive e contribuisce a
ridurne il declino con l’età.
CORRERE CON GLI ALTRI E CONTRO GLI ALTRI (sociologia dello sport)
La socievolezza è una motivazione potente della pratica sportiva.
Tutti coloro che fanno sport sanno che in compagnia è più facile
perseverare a lungo in un’attività. L’allenamento regolare è stimolato
dall’emulazione che nasce nei circoli e nelle uscite di gruppo. Correre
insieme è anche un’occasione di parlare, ridere, divertirsi. Ma è
anche l’occasione per confrontarsi e sfidarsi. L’etnologa Martine
Segalen, nel suo libro Les entants d’Achille et de Nike (1995),
descrive la socialità dei corridori di fondo, i loro rituali (dalla
scelta della tenuta alla doccia), l’ebrezza della competizione, la
convivialità dei gruppi di amici che condividono la stessa passione.
SUPERARE SE STESSI (filosofia della corsa)
La corsa di fondo è una prova che esige sforzo e sofferenza. Può
sembrare assurda se si misura la fatica con il risultato ottenuto:
nessun guadagno se non simbolico e di valore esclusivamente soggettivo
(record personale, classifica). Da dove nasce allora questo bisogno di
farsi del male per ottenere scopi così risibili? Etica della
performance in personalità ascetiche? Volontà di potenza? Visione
eroica dell’esistenza? Ricerca quasi mistica del superamento di sé?
Filosofi e scrittori si sono interrogati sulle motivazioni profonde
della corsa podistica (si veda la Petite bibliothèque du coureur,
di Bernard Cham-Baz, 2014). C’è anche una dimensione esistenziale
nella corsa, dove anima e corpo intrecciano uno strano dialogo (Courir. Méditations physiques,
di Guillaume Le blanc, 2012), quando una parte di sé impone al corpo
di ignorare il dolore e la stanchezza per continuare a correre (Haruki
Murakami, L’arte di correre, trad. it. 2013).